sabato 10 ottobre 2015

Dichiar/azioni: Tornare a bomba

A un certo punto, qualche giorno fa, ho cominciato a riordinare cose vecchie e nuove.
Preda di un raptus raptus furibondo, ho sistemato l'armadio, lo sgabuzzino, tutti i cassetti e in un furore pulente e tremendamente contemporaneo, ho ripulito il computer dai file inutili, il telefono dalle foto uscite male e dai contatti bislacchi ( i doppioni, le mail, gli illustri sconosciuti che non chiamerò mai nemmeno in fin di vita). Ho tolto la polvere, sgrassato il forno, buttato indumenti vecchi e gettato carte, cartacce, scontrini, appunti, penne che non scrivono, fogli col tetris e nomi cose e città. Via tutto.
Poi a tarda notte, ancora posseduta dal demone del ripulisti, ho pensato che avevo rassettato tutto il rassettabile tranne il mio blog. Eh sì, perché avevo un blog. E ora che fine gli faccio fare? Lo conservo come quei collant terribili coi fiori ( che prima o poi, vi assicuro, riuscirò ad abbinare!) o lo cestino? Lo faccio tornare in auge come un pezzo vintage o lo infilo nel sacco nero dei vestiti per la ragazza che pulisce i vetri al semaforo sotto casa?
Lei accetta sempre le mie buste con un gran sorriso, persino quando contengono improponibili pezzi risalenti al periodo in cui vestivo come Cindy Lauper, ma questo blog mi è necessario per farmi sentire nei miei panni.
E allora, a distanza di tre anni, torno a bomba dopo una lunga divagazione - che poi è la mia specialità.
Dopo 5 libri e mezzo, due cani, una convivenza, due traslochi, una città nuova e una troppo conosciuta, nuovi incontri, delusioni, pianti, risate a crepapelle, biglietti da visita, abiti da sera, baguette, pioggia, foto, valigie, treni, treni, treni.
Torno oggi su queste righe sperando di avere la costanza necessaria a restare.

mercoledì 7 maggio 2014

Autocit/azioni: ovvero niente di più triste in natura.

Indico la strada per arrivare sani e salvi alle Ricette Umorali:

http://lemeraviglie.net/category/ricette-umorali

Sì. sempre dritto. Prego, si figuri.

domenica 19 agosto 2012

Imprec/azioni. Mettersi la crema solare


'Agosto è il mese più freddo dell'anno' cantavano i Perturbazione sublimando il vecchio adagio del paese di C., borgo d'origine di mia madre, in cui il 5 agosto si festeggia, thò, la Madonna della Neve: 'Austo capo de vierno'. (cfr, google traduttore: 'Agosto inizio dell'inverno').
Un anno se ne va, ma l'estate non finisce e a ricordarcelo sbucano anticicloni torridi dai nomi altisonanti e drammatici tra i quali il più blando della compagnia, Caligola imperatore, fece giusto in tempo a nominare senatore un cavallo.
Gente tranquilla.
"Papà, papà, sta arrivando Lucifero!" urla, correndo, un settenne con ciambella sulla spiaggia, aprendo la via a scene apocalittiche da fine del mondo e giudizio universale sotto l'ombrellone.
Fattore di protezione 50 contro i raggi UV, fiamme e forcone di Belzebù.
Tuttavia già da tempo alcuni, i più attenti, si preparano, ogni santa estate, al compito che toccherà loro reiterare per tutta l'eternità all'interno del girone infernale di destinazione. Sono gli spalmatori di crema solare. Milioni e milioni di spalmatori, anime avvedute che si portano avanti col lavoro.
Sotto 40 gradi, unti dentro e fuori, spremono il tubetto rovente di crema e iniziano a impomatare se stessi con movimenti circolari e senza sosta finché, arrivati alla sommità delle spalle, guardano te, svenuta da tempo in posizione orizzontale, e ti ordinano di impomatargli la schiena. Alzarmi?!
Ma io sono finita nel girone dei pietroni incastrati nelle scapole e dei sassi appuntiti sotto i piedi, come faccio a sollevarmi da terra? Alzati e cammina.
E' noto come le spiagge rappresentino una terra di nessuno dove non si hanno più diritti, ma solo faticosissimi doveri: passare la bottiglia d'acqua, stendere l'asciugamano, rispondere al 5 verticale, legarsi i capelli, alzarsi ed entrare in mare, acquattarsi nella macchia mediterranea per fare pipì, voltare le pagine dei Fratelli Karamazov, chiudere il lettino. Ma chi ce la fa!?
Eppure, la clamorosa negazione dei diritti umani sta nell'essere spediti a comprare caffè e gelati per tutti.
Benvenuti nel girone dei compratori al bar ovvero nel cerchio più caldo vicino a Lucifero. Oh no!
Lasciatemi diventare scoglio e origliare i discorsi degli bagnanti sconosciuti, le grandi confessioni da spiaggia, le liti tra innamorati, i buoni propositi, la ricetta del gatò di patate, la verità sui tatuaggi, la biografia del sindaco città di S., la storia della birra Peroni e le avventure dello Spread.
Lasciatemi mischiare, sempre a 40 gradi, queste storie con quelle dei Karamazov.
Mi alzerò poi abbrustolita quando calerà il sole, sufficientemente rosolata, stordita e in deliquio, e mi attaccherò alla bottiglia d'acqua con un sorso da dromedario per poi scoprire, con la faccia da scoglio infuocato, che si tratta di grappa artigianale conservata nelle bottiglie di Levissima. Oh diavolo!

domenica 23 ottobre 2011

Amplific/azioni. Avere costanza

Prima di essere me ero più giovane.
Al posto delle ballerine rosse in suede portavo scarpe da skate e pantaloni oversize al posto dei collant ricamati.
Prima di essere così me come sono adesso ero più panchettona, il che comunque rassicura sulla visione schizofrenica di una donzella col cappotto anni Sessanta color fucsia che poga su un pezzo di Max Cavalera.
Ma prima di essere tanto me medesima, non avrei mai immaginato di fare quell'outing che a un po' tutti spetterebbe: in clima di cambio di stagione, pensate per un momento al vostro armadio di dieci anni fa, passate in rassegna i pezzi contenuti all'interno e quelli appoggiati all'esterno nell'era splendente del floppy disk. Ricostruite in quale stanza sorgeva il vostro guardaroba d'epoca e le persone che si appoggiavano alle di lui ante e, insieme a me, rabbrividite. Focalizzate l'attenzione su quella felpa che ancora vi portate dietro quando si alzano i primi spifferi. Ci siete ancora?
Dicevo. Sempre prima di essere così effettivamente me, andavo a certi concerti favolosi dei 24 Grana in cui il pubblico- più ferrato di un Millenote-, abitualmente saliva sul palco a scippare il microfono e il ruolo al cantante e poi, una volta scaraventato giù da qualche forzuto della sicurezza, chiedeva insistentemente un brano. Ripeteva come un sol uomo: "Francè, a custanz! A custanz!".
Dall'assiduità della richiesta tignosa, la scelta del brano non appariva casuale. Eppure una folla così determinata si univa, urlante e compatta, nel dubbio a squarciagola del ritornello: " Nun sacc' mai s'aggia avut a custanza, nun sacc mai, nun sacc mai".
Oggi a distanza di anni, davanti a un altro armadio, in un'altra stanza, con altre ante e altre persone, senza la buonanima del floppy disk ma con la felpa dei Sepultura sempre ammiccante, arriva l'autunno e con lui, ogni volta, la domanda retorica dei 24 Grana con la voce grassa del follone. Ogni volta. Ma perchè?

lunedì 28 marzo 2011

Qualific/azioni. Incontrare aggettivi nuovi.

Gli ultimi mesi degli anni zero e i primi acerbi degli anni dieci mi hanno fatto indossare nuovi sorprendenti aggettivi.
In lana cento per cento o in viscosa fino al sessanta, si presentavano tutti in fibra naturale in un elenco necessariamente sintetico.
Ho raccolto un "moralista" biasimando un attempato uomo di politica che pagava una diciassettenne per far sesso e, poi, un "fascista" nel pronunciare parole come "rispetto" e "responsabilità".
Sono diventata "patriottica" quando non mi è sembrato male festeggiare 150 anni di Unità e di sana e robusta Costituzione e, ancora, "maschilista" (!) affermando in una classe di conversazione d'inglese che le quote rosa altro non sono che un'ennesima forma di discriminazione.
Contro il nucleare? "Anti-moderna" e "retrograda". Già.
A questo punto, aggiungerei al conto "primitiva" perché fa sempre la sua porca figura.
In una vertigine di qualifiche improbabili, mi girava la testa e ho dovuto sedermi su una panchina a sognare acqua e zucchero e pensieri non pre-confezionati da parte dei sintattici compulsivi.
Può darsi si tratti unicamente di un uso improprio di aggettivi di tipo virale.
Sarà un'affezione della lingua che fa uscire le bolle sotto il palato alla parola "etica", una malattia della pelle che si combatte con le parole magiche "sei" insieme a "pesante". Due volte al giorno, lontano dai pasti.
Ma in un frullato di aggettivi pescati a caso dal dizionario, preferirei avere addosso quelli che mi affascino di più per suono e suggestione, come "ittica" o "giallognola", "romboidale" o "tentennante".
E soprattutto prendere anch'io parte al gioco mozzafiato dei sinonimi e contrari: "Che sole oggi! E' proprio una giornata eburnea!" oppure "Non mi sento tanto bene, credo di essere un po' fragrante". Vado bene?
Nella confusione generale, raccattare quegli aggettivi che mai potrei altrimenti avere, come "puntuale" o "bionda ossigenata" e, soprattutto, scrivere storie romantiche dal finale fotostatico:
-"E' stata una serata marmorea, spero di rivederti presto".
-"Sì anch'io. Sei veramente una persona autodidatta".

sabato 26 febbraio 2011

S/a(n)zioni. Travestirsi da Gheddafi

Lui non è grande, non è il profeta di nessuno è solo un pazzo criminale male abbigliato. Testardo e furioso all'inverosimile, è uno che non fa faccia.
Anzi, che non ha faccia.
Nel toto-Gheddafi dei giornali sul destino della Libia, il colonnello in foto appare tanto fedele a sè stesso quanto ogni volta diverso. Non riesco mai ad afferrare la sua faccia, a stamparmela bene in mente poichè ogni volta mi appare differente. Confronto ansiosa foto sui quotidiani, guardo video, cerco retroscena su Google e, con mio fratello, scopro che neppure il nome è autentico. Dal primo Gheddafi così giovane e simile a Julio Iglesias alla più recente controfigura di Renato Zero, passando per una serie di cappellini deliziosi: Gheddafi assomiglia sempre a qualcun altro, ma mai a sè stesso.
Il problema è aver preso la parola copricapo troppo alla lettera ( i pedissequi sono una piaga sociale).
Ma come Bowie lui è un trasformista, come Madonna dietro sè deve avere un personal trainer hollywoodiano di altissimo livello.
Se il viso aperto è comunicazione senza camuffamenti, allora dovrebbe bastare un viso non delineato a non fidarsi di qualcuno. Quando non c'è una faccia difficilmente c'è una medaglia.
Eppure il libico ora si dimostra faccia e pure tosta, tuttavia non escludo che all'interno del circo delle sue improbabili bizzarie, Gheddafi non abbia reclutato nel tempo dozzine e dozzine di sosia. Nell'epilogo disperato di un comandante senza terra, che alla resa dei conti si presenti però il colonnello in carne e ossa e non un suo stuntman con addosso un costume da carnevale. Semplice da realizzare ma di pessimo gusto.

mercoledì 10 novembre 2010

Illumin/azioni. Aprire l'ombrello

Piove e non ne parliamo del governo... Piove sulle tamerici.
Piove piove sul nostro amore. Piove sempre quando non ho l'ombrello e non piove mai quando mi distraggo e me lo porto in borsa.
Piove sempre sul bagnato.
Il bagnato, nello specifico, è il mio jeans che da cinque giorni percorre avanti e indietro la tratta lavatrice-stendino. Magari lavatrice! Sono cinque giorni che lo lavo a mano (un jeans a mano?)e poi grondante lo stendo fuori alla finestra nei cinque minuti di bel tempo. E lì si avvera il proverbio, lì sì che piove sul bagnato. Sempre. "Cinque minuti" mi dico "e poi lo tiro dentro perchè dopo pioverà". Certo. A tarda notte mi viene in sonno la faccia terrorizzata di Jeans- ormai è una persona- che al freddo e al gelo urla sotto le intemperie! Allora gridando mi alzo di soprassalto e salvo quel disgraziato di Jeans dalle trombe d'aria. Oh no!
Jeans ritorna così nella sua bacinella di fiducia pronto a un ennesimo lavaggio, a un ennesimo stendimento, a un ennesimo diluvio universale e a un ennesimo "oh cazzo no! Jeans, sei proprio tu! Jeans!".
Stamattina Jeans marciva sotto la grandine mentre tramortito lo trascinavo in casa per la trentaduesima volta.
In questo momento, mentre scrivo Jeans mi guarda dall'altra stanza, steso sulla sedia, dopo il lavaggio numero trentatrè. In soli cinque giorni.
Gli ho dato anche due botte di phone per rianimarlo, ma Jeans ormai è sicuro della sua posizione e si dimostra, ora più che mai, attaccato alla poltrona. Stasera stranamente non piove, potrei approfittare di quei famosi cinque minuti di bel tempo, tuttavia Jeans non batte ciglio, lui non si scompone, non si spaventa: sa che, sicuramente, mi sono già dimenticata di lui.