Prima di essere me ero più giovane.
Al posto delle ballerine rosse in suede portavo scarpe da skate e pantaloni oversize al posto dei collant ricamati.
Prima di essere così me come sono adesso ero più panchettona, il che comunque rassicura sulla visione schizofrenica di una donzella col cappotto anni Sessanta color fucsia che poga su un pezzo di Max Cavalera.
Ma prima di essere tanto me medesima, non avrei mai immaginato di fare quell'outing che a un po' tutti spetterebbe: in clima di cambio di stagione, pensate per un momento al vostro armadio di dieci anni fa, passate in rassegna i pezzi contenuti all'interno e quelli appoggiati all'esterno nell'era splendente del floppy disk. Ricostruite in quale stanza sorgeva il vostro guardaroba d'epoca e le persone che si appoggiavano alle di lui ante e, insieme a me, rabbrividite. Focalizzate l'attenzione su quella felpa che ancora vi portate dietro quando si alzano i primi spifferi. Ci siete ancora?
Dicevo. Sempre prima di essere così effettivamente me, andavo a certi concerti favolosi dei 24 Grana in cui il pubblico- più ferrato di un Millenote-, abitualmente saliva sul palco a scippare il microfono e il ruolo al cantante e poi, una volta scaraventato giù da qualche forzuto della sicurezza, chiedeva insistentemente un brano. Ripeteva come un sol uomo: "Francè, a custanz! A custanz!".
Dall'assiduità della richiesta tignosa, la scelta del brano non appariva casuale. Eppure una folla così determinata si univa, urlante e compatta, nel dubbio a squarciagola del ritornello: " Nun sacc' mai s'aggia avut a custanza, nun sacc mai, nun sacc mai".
Oggi a distanza di anni, davanti a un altro armadio, in un'altra stanza, con altre ante e altre persone, senza la buonanima del floppy disk ma con la felpa dei Sepultura sempre ammiccante, arriva l'autunno e con lui, ogni volta, la domanda retorica dei 24 Grana con la voce grassa del follone. Ogni volta. Ma perchè?
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