Ho le mie cose. Ho il ciclo. Sono in quei giorni. Ci metto un palloncino tutto rosso.
Faccio la ruota a un provino. Mi butto da un aereo col paracadute. Sono indisposta e vivo nel 1940 per parlare così.
Donne di tutto il mondo, è arrivato il momento di ribellarsi al tabù della Lines e alle sue improbabili perifrasi. Pronunciamo con lo spelling un sostantivo dignitosissimo:m-e-s-t-r-u-a-z-i-o-n-i.
Ora sì che sono libera e felice come una farfalla.
Cos'è quello spiffero di disagio che soffia ogni volta che viene nominato il termine all'infuori di un bagno pubblico o di un pigiama party di sole donne? Perchè non posso dirlo in presenza di uomini non ginecologi?
Ma dov'è il problema?
Non capisco: non è un termine volgare, non è gerghiale, non è slang. E' la denominazione medico-scientifica di un fenomeno biologico. Ho molta più vergogna a usare tutti quei degradanti giri di parole.
Non è elegante? Ma è un termine bellissimo, tecnico, preciso, semplice e soprattutto autentico.
Le perifrasi sono più intime? Falsissimo: il significante cambia il significato è lo stesso.
Se ho gastrite, sinusite, congiuntivite non cerco metafore barocche o assurde associazioni di pensiero ("ho le cose delle cose mie e un po' pure di quell'altro nell'occhio"/ "sono diversamente disposta"/"lo stomaco mi si infuoca come il Vesuvio nel 79 d.C.e posso nutrirmi solo di calchi pompeiani").
Piuttosto dico gastrite per gastrite, sinusite per sinusite, congiutivite per congiuntivite.
Sulle mestruazioni invece cala il tabù linguistico dato dai terrificanti retaggi dei terrificanti condizionamenti culturali.
E partono incredibili strade alternative per indicarle.
Il ciclo mestruale è biologia, ma finchè le stesse donne continueranno a usare quei nomignoli terribili l'emancipazione femminile non sarà mai compiuta.
Donne, non è colpa vostra, ci hanno abituato così ma ormai sono scaduti i giorni: "date parole al dolore" diceva Shakespeare. "Vi regalo un pacco di assorbenti in cambio" aggiungo io. Anche "assorbenti" non si può dire, ma "tampax" stranamente sì. E' possibile che io risulti di cattivo gusto perchè ho detto "assorbenti"?
Nella città di R., per indicare le mestruazioni (sentite che bel suono!) si dice: ho il marchese.
Gli abitanti della città di R., per nulla schizzinosi, viscerali verso la vita tanto da mangiare interiora e trippe e code alla vaccinara, provano ripugnanza unicamente quando si nomina loro questo tal marchese. Tutti rimangono schifati e ti pregano di chiamarlo diversamente.
Quando ho imparato questa parola ero felicissima e, trovandola molto fantasiosa, la ripetevo a oltranza. Mi riportava al marchese di Carabas del Gatto con gli stivali oppure mi faceva pensare a un personaggio della letteratura..non so.. dopo il Cavaliere inesisente, Il visconte dimezzato e il Barone rampante, Calvino avrebbe potuto scrivere Il Marchese in ritardo. Attesissimo come libro. E invece no. Tutti inorridiscono davanti al signor marchese.
Così ho capito che a una straniera come me Lui può far sorridere, mentre agli abitanti della citta di R. ricorda cicli mestruali della bisnonna e della trisavola, gonne di flanella a fiorellini, calze velate color carne e puzza di naftalina. L'ho capito dalle loro smorfie.
Allora pronuncio il termine per spaventarli o per far loro passare il singhiozzo.
"Mestruazioni" invece non è flanella, è una parola di libertà.
Non ci si può vergognare di pronunciare il nome tecnico di un processo fisiologico della donna peraltro così costitutivo e fondamentale della sua stessa identità. Il ciclo mestruale consente la vita e la continuazione della specie. Ci si può mai vergognare di una cosa simile?
E' un miracolo (ovviamente dipende sempre dalla specie...) e la parola mestruazioni andrebbe scritta su tutti muri. E invece no, ancora si tentenna a pronunciarla.
Ma non è giusto: le remore lasciamole ai momenti in cui ci allontaniamo dalla nostra natura, demoliamo finalmente il tabù intorno a un aspetto basilare dell'essenza femminile.
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