Aprile è il più crudele dei mesi diceva T.S. Eliot -un grande nome puntato della poesia.
Per mio fratello G. M. invece è Settembre a vincere il premio crudeltà.
Se non esistono più le mezze stagioni e di ventotto ce n'è uno e tutti gli altri ne han trentuno, Eliot T.S. aveva sottovalutato il trauma collettivo che affligge l'umanità a qualsiasi latitudine sul finire dell'estate: il ritorno a scuola.
E non parlo solo del ritorno a scuola in senso stretto. Esiste anche un ritorno a scuola in senso figurato che corrisponde alla ripresa del ritmo lavorativo post-vacanza.
Tornare al lavoro, allora, rievoca l'antico trauma del primo giorno di scuola dopo tre mesi di lunghe mattine a giocare nel cortile e poi di battimuro, e di motorini e poi di batticuori. E lieve libertà e compiti delle vacanze mai fatti.
Non crediate di aver dimenticato quella sensazione da ritorno all'ordine: nel vostro inconscio è sedimentata e i dati istat dimostrano l'impennata nel mese di settembre dei compiti in classe e delle interrogazioni in sogno. Che momenti drammatici. Ma come abbiamo fatto a sopravvivere?
A.M., mia madre, insegnante, va scuola dall'età di quattro anni e mezzo. Lei ci tiene sempre a precisarlo. Quest'anno ha deciso di fare filone il primo giorno di scuola e poi anche il secondo (non fate i delatori perchè è arrivata pure la visita fiscale). Preoccupata ho dovuto chiamarla per dirle di andare a scuola.
Ma come posso darle torto?
Passeggiando per la città di B., mi è capitato di trovarmi sotto una finestra del mio ex liceo al quale rivolgo sempre in automatico un gestaccio morale. Tiè.
Dalla finestra proveniva la tipica voce cadenzata da interrogazione in piedi vicino alla cattredra. Quel ritmo lo riconoscerei tra mille: nananà nananà nananaà/nananà nananà nanananà. Che incubo. Non lo sentivo dall'epoca.
Turbata, nei giorni successivi ho iniziato a sognare compiti in classe su compiti in classe, corridoi su corridoi e quegli attaccapanni in fondo all'aula che non ho mai più rivisto altrove e che non dimenticherò mai.
E lì ho pensato che forse, dico forse, rimetterei piede nel liceo per rivedere da vicino quei favolosi attaccapanni anni novanta. Che attaccapanni!
Previo sempre catartico gestaggio morale.
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