mercoledì 1 settembre 2010

Mobilit/azioni. Camminare

Per arrivare dalla città di B. alla città di V. bisogna prendere un pullman sul quale una volta scesi si giura sempre di non montare mai più, poi un autobus, un trenino, un aereo, un vaporetto di una lentezza imbarazzante a cui si rimedia con un "almeno da qui si vede la città" che però non basta se ti scappa una pipì mostruosa e tutto intorno è acqua a ricordare la crudeltà della tua vescica.
Una volta sbarcati nella città di V. si bacia la terra, si realizza che si sarebbe dovuti scendere alla fermata successiva, ma troppa acqua e troppa gente annoiata che non vedeva l'ora di parlare con te non permettono nemmeno un altro minuto da spendere sul battello ebbro.
"Ma allora perchè non hai preso il treno?" mi domanda il signore accanto a me a cui nel frattempo ho raccontato la mia vita mentre doppiamo il capo di Buona Speranza. Perchè ho architettato questa traversata da tempo per viaggiare in compagnia della mia amica V. la quale, proprio stamattina, mi ha mandato un SMS per dirmi di andare da sola inquanto sempre la mia amica V., nella zona di S., ha trovato la caletta e l'uomo della sua vita. Così sono rimasta a piedi.
E finchè la barca va.
Ad ogni modo, una piadina e un restyling acrobatico nel bagno di un bar ti consentono di lasciarti alle spalle i trasporti e le infrastrutture varie per continuare la traversata senza gli orpelli dei ferrotranvieri e simili.
Nella città di V. tutto si svolge spartanamente a piedi. Abitudine romantica, suggestiva, senza dubbio salutare e distensiva e bla bla bla , tuttavia al terzo giorno tutti questi kilometri puzzano più del pesce, dell'ospite e di certi canali off della stessa città di V. .
Adoro camminare, ma adoro ancor di più le cose fatte per scelta e non per imposizione: devo sapere che sul più bello posso sempre chiamare un taxi. Quanto costa un taxi nella città di V.? In base alle mie indagini socio-antropologiche sui tassinari locali il prezzo minimo è di 40 euro.
E' in questi momenti che vedo il nostro paese come una colonia di russi lussuosi, vips, viaggi di nozze terrificanti, giapponesi coi bustoni Chanel e gente che si sposa a V. secondo il modello matrimonio alla Beautiful. La città di V. è per i promessi sposi (no Renzo e Lucia!) seconda sola a Las Vegas.
Disinteressata ai Forrester, io resto a piedi. Un'altra volta.
A questo punto la scarpa, mio personale oggetto feticcio, diviene tristemente una problematica perchè, al sesto kilometro consecutivo, non c'è ballerina che non inizi seriamente a diventare un ostacolo. Se la scarpa col tacco non gareggia per ovvie ragioni, il campo si restringe: non porto scarpe con i lacci. Scarpe da ginnastica? Che significa questa parola?
Nella lunga marcia per le piccole strade a gomitolo della città di V. e lungo tratte e smarrimenti a cui partecipano la fantasia delle indicazioni dei passanti e le frecce del Monopoli a fare strada, in questo grande set cinematografico montato sull'acqua come una bolla senza rumore e senza tempo, l'incanto della fascinazione è rotto solo da una costante lacerazione esistenziale: il dolore ai piedi.
La città di V. prevede allora da copione l'acquisto di calzature bizzare: le galosce con l'acqua alta e il primo paio di scarpe che capita a tiro con la bella stagione. Così coi piedi palmati e all'ultima stazione della via crucis ho afferrato, prima di cade al suolo, delle pseudo-spadrillas in tessuto da me ribattezzate le Antonello da Messina per l'effetto che fanno addosso se abinate ai leggins.
Le Antonello da Messina non solo si sposano perfettamente con lo spirito del luogo e con l'attendibilità storica, ma consentono, inoltre, spostamenti senza velleità da fachiro. E questo è sicuramente l'unico sposalizio nella città di V. che non risulti di pessimo gusto.

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